L'un dall'altro divisi i cittadini,
Ciascun s'incasa; nel regal palagio 330
Del divo Ulisse rientrâro i Proci.
ß 260 Ma solingo il garzone, ito alla riva,
Le man lavò nel pelago ondeggianteEd a Minerva supplicò: "Deh! m'odi,
Dea che, apparendo ier nel mio palagio, 335
Per lo mar tenebroso ir m'imponesti,
Del padre in traccia da gran tempo assente;
Contrasto fanno al tuo comandamento,
Più che gli Argivi, i Proci empi, di cuiTrapassa l'arroganza ogni confine." 340
ß 267 Sì disse orando. Gli si fe' d'appressoPàllade che la voce e le fattezze
Assunte avea di Mèntore e gli disse:
ß 270 "No, non ti fallirà né ardir né sennoD'ora innanzi, o Telèmaco. Se in vero 345
Ti stillò in cor la sua virtude il padreChe quanto impreso avea, quanto per fede
Legàvasi di far, sempre compiea.
Il tuo viaggio, no, non andrà a vòto.
Ma se tu di Penèlope e di Ulisse 350
Degno figlio non sei, ciò che ora bramiSpeme non ho, che trarre a fine il possa.
Né già t'ammirerai del dubbiar mio:
Che pochi figli agguàgliansi a' lor padri,
Peggiori i più; di rado alcuno avanza 355
I maggior suoi. Ma come in Te né il senno,
Né l'ardir verrà men, se la saggezzaDel tuo gran genitor non ti abbandona,
Consumerai, cred'io, siffatta impresa.
Dunque, i disegni a vil prendi e le trame 360
Degli insensati Proci; ché rubelliAlla ragion si rendono ed al giusto;
Né della Morte pur si fanno accorti,
Che sta lor presso, né dell'atra Parca
Che perir li farà tutti in un giorno. 365
Il viaggio che imprendere fermasti,
Più non pate d'indugio. Io tal d'Ulisse
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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437 |
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