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      O parta, o qua tra il popolo rimanga.
      Andrò, né vano fia il cammin, su naveDa carco, ché alcun legno io non possedo,
      Né rèmigi; sì par che a voi più giovi!" 410
      ß 321 Divelse e a sé tirò la mano in questa,
      Dalla man d'Antìnoo; seguìano intantoA far l'appresto del convito i Proci,
      Trafiggendo il garzon di motti acerbi.
      ß 325 Di que' protervi alcun: "Certo - dicea -, 415
      Far di noi divisò fervida strage;
      Da Pilo condurrà seco o da Sparta,
      Vindici, ché tal brama il cor gli strugge.
      Od ito al pingue suol d'Efìra, un fieroVelen trarranne che da lui gettato 420
      Nell'urne, tutti ci trarrà di vita."
      ß 331 "Chi sa - di que' superbi un altro aggiunse -,
      Ch'egli errando sul mar, da' suoi lontano,
      Come Ulisse non pêra? Oh! quanta alloraFatica sosterrem! Sì gran retaggio 425
      Partir dovremo, e cedere alla madreEd a colui che impalmerà, la reggia!"
      ß 337 Nell'alta intanto spaziosa salaScese del padre, dove l'oro e il rame
      Ammassati giacean; là ornate vesti 430
      Chiuse nell'arche e là fragranti essenze;
      Là v'eran di Lièo botti ricolme,
      Vecchio, puro licor, nettareo al tutto,
      In lungo, presso il muro, ordine poste;
      Per Ulisse guardàvansi, ov'ei fesse, 435
      Patiti aspri travagli, a' suoi ritorno.
      Gran porta a doppie imposte, intra sé stretteTenacemente, custodìa l'entrata.
      Questi tesor dì e notte vigilavaDel Pisenorid'Opi la prudente 440
      Figlia Euriclea. Telèmaco la chiamaE dal petto volar fa questi accenti:
      ß 349 "Attignere ti piaccia, o mia nutrice,
      Vin soave nell'urne e 'l miglior siaDopo quel che aspettando il divo Ulisse, 445


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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437

   





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