Gli tieni in serbo, se pur fia che sfuggaL'infelice alla Parca, e a' suoi ritorni.
Dodici vasi m'empi e li suggella.
Di polve cereal vénti mi versaMisure in ben chiusi otri. Ma tu sola 450
Sàppilo e pómmi ciò che dissi, in punto;
Verrò qui a sera e prenderò tai cose,
Quando la madre, risalita ad alto,
Gli occhi al sonno darà. Ché già mi è tardoPilo ed Isparta visitar, se mai 455
Verrammi fatto udir qualche novellaSul bramato redir del padre mio."
ß 361 Ululò, diè in gran pianto e sì risposeL'affettuosa tenera Euriclea:
Perché mai concepisti un tal disegno, 460
O caro figliuol mio? Perché sì vastaTerra percorrer vuoi, Tu, che pur sei
Diletto, unico figlio? Ahi! certo, lungePerì dal suol natìo, fra genti estrane,
L'inclito Ulisse. Come dipartito 465
Quinci ne sarai tu, che i Proci crudi,
Insidiando, ti trarran di vitaE partirànsi tutte le tue spoglie.
Deh! qui rimanti e qui fra' tuoi t'assidi;
Non fa per te, del mar voraginoso 470
Affrontati i perigli, irne ramingo."
ß 371 "Fa' cor, nutrice mia, che non è senzaLo spiro d'uno Iddio questo consiglio.
Ma giura che di ciò non farai mottoAlla diletta genitrice, prima 475
Che sorga in Ciel la dodicesim'alba,
Salvo che di vedermi ella desii,
O del mio dipartir voce le giunga;
Ch'io temo, non la sua bella personaDall'ostinato lagrimar si strugga." 480
ß 377 Tacque, e la vecchia il giuramento grandeGiurò de' Numi, e poi che giurato ebbe,
Dall'urne 'l vino attìnsegli e ne' densiOtri la polve cereal versava.
Telèmaco, al palagio indi tornato, 485
Tra la schiera avvolgévasi de' Proci.
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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437 |
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Parca Isparta Ululò Euriclea Ulisse Proci Iddio Ciel Tacque Numi Proci
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