Che a partirle farànsi, a divorarle,
Tal che 'l viaggio tornerìati vano.
T'esorto nondimeno, anzi ti stringo,
Di trovar Menelao che da straniereGenti, guari non è, si dipartìa, 425
Donde redir mai più non avrìa spemeChi trasviato da tempeste, errasse
Là su quel vasto mar da cui nel giroD'un anno, non verrebbero gli augelli,
Però ch'è immenso, orribile. Or via dunque, 430
Pàrtiti col tuo legno e' tuoi compagni.
Se il terrestre cammin più ti talenta,
Èccoti presti il cocchio ed i corsieri;
Ecco i miei figli che ti stando accanto,
Ti guideranno alla divina Sparta 435
Cui regge il biondo Menelao. ChiarirtiPrègalo il vér, né paventar d'inganno,
Ché il saggio re detesta ogni menzogna."
? 329 Posto fine al suo dir, tramontò il Sole,
Sorgiunsero le tenebre. "O buon veglio! 440
Certo - Palla soggiunse -, a dritto parli;
Or via, dell'ostie tàglinsi le lingue,
Méscasi 'l vino e fatti i libamenti,
A Nettuno non men che agli altri Eterni,
Cura prendiam, che tempo è omai del sonno. 445
Già la gran luce ascósesi nel buio;
Né si addice restar più a lungo assisiDe' numi al sagrifizio; uopo è ritrarci."
? 337 Così Minerva, e obbedìan tutti; l'acquaDiêro alle man gli araldi, incoronâro 450
Di spumante licor l'urne i donzelli,
Indi le tazze ministrate in giro,
Tutti quanti augurâro. In sulle fiammeGittâr le lingue i convitati e poscia,
Rizzatisi, libâr. Poiché libâro 455
E del vino gustâro a pien talento,
Minerva e il bel Telèmaco ritrarsiAl naviglio volean, ma sì gli assalse
Con gentile rampogna il Re Nelide:
? 346 "Deh! tolga Giove e gli altri Sempiterni, 460
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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437 |
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