Dovizie immense, ecco altri d'improvviso,
Celatamente, pel funesto inganno 120
D'infida moglie, uccìsemi il fratello.
Non viemmi quindi al cor gioia regnandoQueste ricchezze. E voi da' padri vostri,
Quali ne sìeno, ciò già udito avrete;
Ché molti guai sostenni; una magione 125
Ricca di gente e d'agi a terra sparsi.
Piacesse al Ciel che di tre parti, l'una,
Rimasta a me delle dovizie mie,
Qui albergassi e le dolci aure vitaliSpirasser meco i prodi che ne' vasti 130
Ilìaci campi lungi d'Argo, altriceDi fervidi destrieri, allor perîro.
Non senza molti gemiti e lamentiTutti io li piango: nell'interne stanze
Spesso ricovro e quivi or mi conforta 135
La dolcezza del pianto ed or m'acqueto;
Ché del dirotto lagrimar la bramaSàziasi in breve, indi 'l vigor ripiglia.
Benché dolente, non mi affanno tantoDi tutti, sì come di un sol che il sonno 140
Ed il cibo venir fammi in dispetto,
Quando il rammento; ché tra i Dànai tuttiNullo del par fu prode e tollerante,
Come l'inclito Ulisse. Avemmo in fatoDoglioso e' tragger guai, viver io sempre 145
Vinto per sua cagion d'aspri tormenti.
Ché da gran tempo erra ei lontano e ignoro,
Se vive o se perì. Lo piange intantoD'età grave Laerte e la prudente
Penèlope e Telèmaco che in casa 150
Bambin lasciò, quand'ei si dipartìa."
d 113 Detto, del caro genitor la bramaStrinse il cuore al garzon. Dalle palpèbre
Traboccàvagli al suol pianto dirottoDel padre udendo; alzò il purpureo manto, 155
D'ambe le mani e gli occhi si coverse.
Menelao si fe' accorto, e due consigliNell'animo agitava: o consentire
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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437 |
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Ciel Argo Dànai Ulisse Laerte Telèmaco
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