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d 306 Come rosea nel Ciel fulse l'aurora,
Sorse l'Atride, rivestissi, il brandoSospese ad armacollo ed i leggiadri
Calzari sotto i piè nitidi avvinse.
Uscito della stanza, a un Dio sembiante, 405
Processe e del garzone al fianco assiso:
d 312 "Qual uopo - disse -, alla divina Sparta,
Generoso Telèmaco, ti addusseSul dorso ampio del mar? Pubblico affare?
O privata cagion? Dìllomi schietto." 410
d 315 Ed il garzon: "Atride, amor di Giove,
Venni, se aver da Te qualche contezzaPotrò intorno al destin del padre mio.
Mi si divoran le sostanze, i coltiCampi mi si disertano, nemiche 415
Turbe mi si stipâr nella magione,
Che ognor le greggi sgózzanmi e gli armenti,
Turbe rotte all'oltraggio e alla nequizia,
Che ad impalmare anelano la madre.
A te dunque ricorro e le ginocchia 420
T'abbraccio, perché a me del genitoreNarri la morte dispietata: o l'abbi
Con gli occhi propri vista, o qualche erranteLa ridicesse a Te; ché soprammodo
Infelice la madre il partorìa. 425
Né di farmi dolente alcun riguardoTi prenda, né pietà nulla ti tocchi;
Ma quanto sai, deh! dìllomi; te n' prego,
Se di consiglio e d'opra a te promessaTi giovò il padre mio, l'ottimo Ulisse, 430
Là negli Ilìaci campi, ove cotanteSventure, o Dànai, tolleraste; ah! questo
Rammèntati ed il vér nudo mi svela."
d 332 "Ahi! - Corruccioso ripigliò l'Atride -,
Dunque, vil branco di codardi agogna 435
Nel talamo giacer di quel possente!
Qual cerva che posti abbia i suoi cerbiattiTenerelli, lattanti, d'un gagliardo,
Truculento leon nella caverna,
Gli erti gioghi percorre e a pascer scende 440
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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437 |
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Ciel Atride Dio Sparta Telèmaco Giove Ulisse Ilìaci Dànai Atride
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