Nell'erbose vallee, quand'ecco riedeLa gran belva nell'antro e già di tutti
Mena orribile strage, in simil foggiaUlisse i Proci immolerà. O gran padre
Giove, o Minerva, o Apollo, ah! fate voi, 445
Che tal e' sia, qual già fu un giorno, quando,
Disfidato dal Re Filomelide,
Là nella forte Lesbo, a lottar sorseImpetuoso e l'atterrò: festive
Grida alzarono al Ciel tutti gli Achei. 450
Oh, tal sendo, costoro egli affrontasse!
Ratta la morte avrìan, le nozze amare.
Quant'a ciò che mi chiedi e udir ti è tardo,
Schietto il dirò, né paventar d'inganno;
Né ascoso ti terrò ciò che il verace 455
Veglio marin mi fece manifesto.
d 351 Benché della natìa terra bramoso,
Me nell'Egitto riteneano i Numi,
Perocché di offerire avea neglettoSacre Ecatombe. Non gli Eterni mai 460
Condonano l'obblìo delle lor leggi.
Sorge nel mezzo al mar, contra l'Egitto,
Faro nomata, un'isola che tantoDista dal lito, quanto un giorno corre
Legno veloce cui da poppa il vento 465
Stridulo spiri: là, capace, s'apreUn porto, onde nel mar vàransi i legni,
Poi che bruna il nocchiere acqua vi attinse.
Là, vénti dì mi ratteneano i Numi,
Né soffio di marina aura feconda 470
Comparir vidi mai, guida alle naviSul dorso ampio del mar. Già fôran tutte
Le vivande consunte e de' compagniLanguirebbon gli spirti, ma una Diva,
Tocca il cor di pietà, salute diemmi, 475
Dell'inclito Pròteo marin vegliardo,
L'alma figlia Idotèa. M'incorò, quandoDa' compagni lontan, solingo errava.
Ché, gettando nell'onde i ricurvi ami,
L'isola tutti i dì gìan circuendo: 480
Sì vorava lor viscere la fame!
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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437 |
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