Le ringorgano gli occhi e la soaveLanguida voce sui labbri le spira.
d 706 Rotto al fine il silenzio: "E perché, Araldo, 920
Ito è da me lontano il figliuol mio?
Null'uopo già stringévalo le ratteNavi salir, del pelago cavalli,
Con che varca il mortal l'equoree vie.
Forse perché fermò che appo le genti 925
Non rimanga di sé ned anche il nome?"
d 711 "Non so - rispose il banditor sagace -,
Se un Nume il vi sospinse o se affannosoD'ir a Pilo desìo l'alma gli accese,
Sia per saper del padre suo il ritorno, 930
Sia di qual fato vittima soggiacque."
d 715 Detto ciò, si diparte. Un disperatoDuolo, che il cor fiedévale e la mente,
Opprimeva Penèlope che starsiPiù non sostenne sovra un seggio assisa, 935
Benché molti addobbàsserle la stanza:
Sul nudo limitar la dolorosaGettàtasi, mettea miseri lai;
Quante di fresca o di canuta etadeChiudea fanti la reggia, a lei d'intorno 940
Gemeano. Alfine con pianto dirottoRivolse a lor Penèlope tai voci:
d 722 "Deh! mie care, ascoltàtemi; gli Eterni
Me d'affanni gravâr più che altra assaiCompagna di mia età, che meco crebbe; 945
L'ottimo sposo mio perdetti in prima,
Cuor di Lion, che fra le Dànae gentiDel fior se n' gìa d'ogni virtude adorno;
Quel prode la cui fama ampia echeggiavaPer la Tessalica Èllade ed in Argo, 950
Ed ora il caro figlio ingloriosoLe tempeste rapir fuor de' mie' tetti,
Né del suo dipartir nulla sepp'io.
Infelici! di voi non fùvvi alcunaCui venisse in pensier d'in su le piume 955
Scuotermi? E v'era pur noto l'istante,
Ch'ei la bruna a salir nave se n' gìa.
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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437 |
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