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      Degno il terran d'onor siccome un Dio,
      Condurrànlo alla sua patria diletta,
      Rame ed oro daràngli e vesti in copia,
      Maggior che addotto e' non avrìa, se d'Ìlio 50
      Tornava illeso e della preda onusto,
      Ch'ivi sortì. Però che in fato egli ebbeDi riveder gli amici ed agli eccelsi
      Suoi tetti e al suol natìo di ricondursi."
      e 44 All'Argicìda l'obbedir già è tardo; 55
      I leggiadri talari aurei immortaliSotto le piante adatta. Ali son queste
      Con che l'immensa Terra e 'l mar trascorreVeloce a par del vento. Indi la verga
      Prese con che a suo grado il sonno infonde 60
      Negli occhi de' mortali o li dissonna;
      Volò tra man con quella e di Pièria
      Varcati i gioghi, dagli eterei campiSul mar precipitò. Scorrea a fior d'onda
      A par del laro che pe' vasti golfi 65
      Persegue i pesci e le folte ali bagnaNel salso mar. Non altrimenti i flutti
      Sorvolava infiniti il divo Ermete.
      Come fu alla remota isola, tostoUscì fuor del mar bruno e lungo il lito 70
      Processe, finché giunse al vasto specoDove la Ninfa dal bel crine alberga.
      Quivi il Dio la rinvenne. Un foco grandeSplende nel focolar, l'isola tutta
      Ridonda di fragranza che dal cedro, 75
      Dal tìo spezzati ed avvampanti, esala;
      Dolce cantando con gioconda voce,
      Percorreva la Diva una gran telaCon aurea spola. Ombràvasi lo speco
      Da selva verde ognor: d'alni e di pioppi, 80
      Di cipressi odoriferi. Tra i foltiRami nidificavano gli augelli
      Dalle spase ali: il gufo, lo sparviere,
      La garrula cornacchia che stridendoDel mar sui lidi vagolar si piace. 85
      Stendéasi intorno all'incavato speco,


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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437

   





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