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      Rimenò il terzo dì, quetossi 'l ventoE tranquillo seren d'intorno rise. 485
      Ulisse allor d'un alto flutto in cima,
      Drizzò l'acume dell'intente luci,
      Né lontana da sé scorse la terra.
      Quale è la gioia che nel core abbondaDe' figli (che scorgean giacer gran tempo, 490
      Colpa d'infesto demone, consuntoDa' fiere doglie, il genitor) nel giorno
      Che i Dèi benigni in sanità il tornâro;
      Tal giubilo sentì nell'alma Ulisse
      Della terra all'aspetto e delle selve. 495
      Nuotava e d'ambo i piè l'onde percosse,
      Acquistar contendea l'opposta riva.
      Come distò quanto d'uom vola un grido,
      Ode immenso fragor, ché le vast'ondeEruttate dal mar contro l'alpestre 500
      Continente mugghiavano e di larghiSprazzi di spuma ricoprìan la sponda.
      Non porto alcun, schermo alle navi, o senoQuivi apparìa, ma rocce ardue ed acute
      Protendèntisi in mar, scogli erti e massi. 510
      Mancar sentissi le ginocchia e 'l coreUlisse e in suo gran cor dicea gemendo:
      e 408 "Ahi! quando questa infin terra insperataDiemmi Giove a veder, quando solcai
      Quest'abisso e qui giunsi, ecco non veggio 510
      Egresso alcun per me fuor da queste onde!
      Rocce acute a rincontro, impetuosoRugge d'intorno il flutto; in suso corre
      Liscia rupe: qui 'l mare alto mi toglieFermar le piante ed ischivar la morte. 515
      Temo, se tento uscir, che mi rapiscaE contro a questa roccia erta m'avventi
      Un fier maroso, sì che a me ogni sforzoTorni vano o funesto. E s'io nuotando
      Oltre mi spingo, onde cercar tranquille 520
      Piaggie od un porto, temo che gementeMe nel pescoso mar non risospinga


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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437

   





Ulisse Giove