La tempesta rapace, o alcun de' mostriChe molti nutre in sen l'alta Anfitrite,
Contro di me non ecciti alcun Dio; 525
Ché ben so qual rancor tiemmi Nettuno!"
e 424 Mentre questi pensier tra sé volgea,
All'aspro lito enorme onda l'impulse.
Squarciata la persona ivi, ed infranteTutte avrìa le ossa, se all'eroe benigna 530
Non s'infondea nell'animo Minerva.
La rupe in che già dava, ad ambe maniAggrappò e stretto vi aderì gemendo,
Finché tutta la vasta onda trascorse.
Di tal guisa campò; ma rifluendo 535
Precipitoso il fiotto, il ripercosse,
Il divelse dal masso e in lontananzaNel mare il trabalzò. Siccome polpo
Sterpato dal nativo antro, non pochiTragge lapilli nelle molte branche, 540
Così d'Ulisse, dalle man gagliardeDisvelse il masso la squarciata pelle.
Già 'l vasto fiotto il tranghiottìa, già spentoContra il fato lì fôra il doloroso,
Ma di acume, di forza e di coraggio 545
Palla il rigagliardì. Da un flutto emerso,
Di que' che con fragor rompéansi al lito,
Nuotava, e 'l guardo tenea vòlto a terra,
Se forse di scoprir venìagli fattoQualche piaggia ricurva o qualche porto. 550
Né risté dal nuotar, sin che alla foceD'un fiume dalle belle onde al fin giunse;
Ottimo il loco pàrvegli, che scarcoD'alpestri rocce, era da' vènti intatto.
Come il fiume avvisò, dal cor sì orava: 555
e 445 "Nume, qual che tu sìe, di sì bell'onda,
Òdimi; a Te che tanto desiai,
Sfuggendo all'ira di Nettun, ricorro.
A' celesti medesimi è venerandoUom che giunga ramingo; e tal son io 560
Che alle dolci tue acque, a' tuoi ginocchi,
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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437 |
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Anfitrite Dio Nettuno Minerva Ulisse Nettun
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