Dopo patiti immensi affanni, or vengo.
Miserere di me; che già vo alteroD'esser supplice tuo, benigno Iddio!
e 451 Tacque e 'l Nume lenì subito il corso, 565
L'onde adeguò; diffuse anzi all'eroeDolce calma e del suo limpido fiume
Alla foce il salvò. Piegò l'eroeLe ginocchia e mancar sentì le braccia,
Ché 'l mar frànsegli 'l core; il corpo tutto 570
Gonfiava e per la bocca e per le nariA gurgiti le amare onde versava.
Senza respir giaceva e senza voceDisvigorito, tanta e così fiera
Fatica il soverchiò! Ma come in petto 575
Gli spirti ridestârsegli, il vel scioltoDella Diva, 'l gettò là dove, al mare
Amareggiando, il fiume si devolve.
Addietro il riportò della correnteLa vasta onda veloce e in un momento 580
Tra le care sue mani Ino l'accolse.
Del fiume allontanatosi, su molliGiunchi cascò, baciò la terra e poscia,
Gemendo, al suo gran cor così dicea:
e 465 "Ahi! Che più soffrirò? Di me che fia? 585
Se lungo il fiume questa fiera notteVigilerò, la rigid'aura e 'l guazzo
Fertile me già stanco e illanguiditoStruggeranno, ché all'ora mattutina
Spira del fiume l'agghiacciata brezza. 590
Se del colle arboroso ascendo in cimaE m'addormento tra i più folti arbusti
(Quando il gel nol contenda e la stanchezzaChe dolce il sonno mi ristauri), Ahi! preda
E pasto diventar temo di belve." 595
e 474 Prepor fe' stima l'ultimo partito:
Verso il bosco se n' va, che all'acque accanto,
Su d'un poggio surgea; sotto due uliviChe congiunti crescean quivi, s'interna,
Ma domestico l'un, l'altro oleastro. 600
Non gagliardo soffiar d'umidi vènti,
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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437 |
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Iddio Tacque Nume Diva Ino Ahi Prepor
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