Alle sue ninfe l'alma Dea sovrasta,
Di leggier l'affiguri, benché tutteDi celeste beltà splendano adorne;
Non altrimenti tra le vaghe ancelleSpiccar l'intatta vergine si scorge. 150
? 110 Ma quando a' tetti suoi redir si accinseE le mule aggiogò, ripiegò i manti,
Novo in mente pensier surse a Minerva;
Come déstisi Ulisse e come ei veggiaLa vergine da' begli occhi lucenti, 155
Che de' Feaci alla città lo scorga.
Nausìcaa in quel momento ad un'ancellaScagliò la palla che fallì e del fiume
Ne' vortici cascò: misero tutteUn altissimo grido. A quel rumore 160
Riscosso Ulisse, ove giacea si assise,
Questi nel dubbio cor sensi volgendo:
? 119 "Ahi! lasso! fra qual gente, in qual contradaGiunto in fine son io? Cruda, selvaggia,
Cui del giusto non caglia? O degli estrani 165
Amica e di cui l'alma i numi adora?
Giùnsemi un femminil grido all'orecchio,
Forse di Ninfe che negli ardui gioghiDelle montagne albergano, o de' fiumi
Nelle correnti, o nelle valli erbose; 170
O d'appresso mi sta gente mortaleModulante la voce? Or io medesmo
Con gli occhi propri accerteronne il vero."
? 127 Ciò detto, uscì fuor degli arbusti Ulisse;
Con la gagliarda man dall'alta selva 175
Schiantò frondoso un ramo e delle membraLa men che onesta nudità coverse.
Trasse l'eroe come Lion montanoChe in sua forza fidato, oltre si spinge
Dalla pioggia e dal turbine percosso; 180
Vibran gli occhi scintille, impetuosoSui tauri, sulle pecore, sui cervi
Della foresta avvèntasi e la fameAd assaltar fin lo sospinge il gregge,
Penetrando l'ovil che lo rinserra; 185
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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437 |
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