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O dal suo legno qualche errante addusse, 385
Qui pervenuto di lontan paese;
Ché nulla presso a noi gente dimora;
Od a' fervidi suoi vóti disceseDi Cielo un Dio, che riterrà Ella sempre.
Gran loda le si dee, se andando in volta, 390
Questo trovò sposo stranier; ché i moltiFeaci illustri che l'ambìano, tutti
Ebbe in dispetto la costei fierezza".
Così la turba; e fôrami vergogna.
Mi adirerei contro ad ogni altra io stessa, 395
Che degli amati genitori in onta,
Sen gisse in compagnia d'uomini, primaChe delle nozze il dì sacro le splenda.
Ospite, senti dunque e questi dettiNel cor riposti, impetrerai repente 400
Dal padre mio la scorta ed il ritorno.
Noi rinverrem per via l'ampio-fronzutoBosco di pioppi all'Occhi-glauca sacro.
Limpido fonte ivi discorre, attornoUn bel prato si stende, ivi 'l podere, 405
Ivi del padre mio l'orto fiorisce;
Né distan più dalla Città che il trattoAereo ch'un gridar d'uomo percorre.
Ivi t'assidi e sta, finché noi giunteAlla città saremo ed a' miei tetti. 410
Quando riputerai che avrem già toccheLe paterne mie soglie, allor t'inurba;
Cerca del Re il palagio. AgevolmenteLo si ravvisa; esser potrìati scorta
Anche un fanciullo. No, nulla altra sorge 415
De' Feaci magion, che quella adeguiD'Alcìnoo Re, l'eroe che ingenerommi.
Come il palagio ed il cortil t'avrannoSottratto al guardo altrui, di sala in sala
Sino alla madre mia, rapido varca. 420
Siede davanti al foco al cui splendore,
Poggiata a una colonna, ella ritorceDi stupenda beltà purpuree lane;
Sièdonle retro le fantesche. Quivi,
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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437 |
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Cielo Dio Occhi-glauca Città Feaci Alcìnoo Re
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