Co' nappi in volta propinando gìa.
Com'ebbero libato e che a sua vogliaBevve ciascuno, il Re a parlar si prese:
? 186 "Prìncipi e capi de' Feaci, uditeTutto che l'alma in sen dirvi mi spira. 255
Or che il pasto è fornito, alle sue caseTorni ognuno e riposi; al novo Sole,
Schiera più larga di vegliardi accoltaEntro il palagio, all'ospite iteriamo
Liete, oneste accoglienze e d'ostie elette 260
Facciam solenne sagrifizio ai Numi;
Cura indi prenderem del suo ritorno,
Sicché senza fatica e senza affanno,
La mercé nostra, alla natìa contradaLieto e presto si adduca, ancor che giaccia 265
Quinci remota. In questo mezzo, nulloDanno o rischio li noccia, infin che ei prema
Del piè le patrie sponde; indi quel fatoSosterrà che gli attorsero le gravi
Parche quando la madre il partorìa. 270
Ma s'egli è Nume che dal Ciel discese,
Di nuovo degli Eterni alto consiglioPresagio è 'l venir suo. Che insino ad ora
Ci si mostrâr palesi nelle sacreImmolate ecatombe ed appo noi 275
Sedéansi a desco e stàvanci d'accanto.
Se lor solingo alcun Feace occorre,
Non si ascondono a lui, ché agl'immortaliSimiglianti siam noi, come i Ciclopi
Alla selvaggia stirpe de' giganti." 280
? 207 "D'altro, Alcìnoo, ti caglia - a lui risposeL'accorto eroe -; non io punto somiglio
Né di statura, no, né di fattezzeAi Numi abitator del Cielo immenso,
Ma ai debili mortali. Anzi, a coloro 285
Che gemer sai più di miseria in fondo,
Posso per doglie acerbe equipararmi.
Certo udresti da me mali più gravi,
Dove io ti raccontassi ad uno ad unoGli infortunii, di che mi féo dolente 290
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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437 |
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