L'isola Ogėgia, ivi Calipso ha stanza, 330
Del sommo Atlante l'ingannevol figliaDall'aureo crin, terribil Dea con cui
Nullo, né nume né mortal si unėo.
Me qualche fera Deitā lė trasse,
Ond'čsserle infelice ospite solo, 335
Poscia che il mio navil con la roventeFolgor percosse e conquassō l'Olėmpio
Nel tenebroso mar. Quivi i miei prodiTutti perîr; sol'io d'ambe le braccia
M'avvinghiando del legno alla carena, 340
Errai per nove dė; ma nella buiaDecima notte, all'isola di Ogėgia
Mi spinsero gli Eterni, ove Calipso
Bella e terribil diva abita; lietaM'accolse, mi dilesse e mi nutrėa, 345
Dicendo pur di rendermi immortaleE di vecchiezza in tutti i tempi immune.
Ma non mosse il mio cor né 'l persuase.
Sette anni interi stetti lė, pur sempreQuelle che diemmi in don vesti divine 350
Irrigando di lagrime. Ma quandoL'ottavo anno si volse, ad esser presto
La Dea m'ingiunse a sųbita partenza:
O di Giove al comando, o di sua menteSi mutasse il consiglio; accommiatommi 355
Su ben conteste travi e doni moltiDiemmi: candido pane e vin soave,
Di adorni mi vestė panni immortaliE fe' un destro spirare innocuo vento.
Per sette e dieci dė, co' ripercossi 360
Remi correva sull'equoree vie.
Al nuovo Sol, mi sorsero a rincontroDi quest'isola vostra i monti ombrosi;
A quella vista, co' sussulti in petto,
Lieto il cor mi gioė! Misero! ancora 365
Forza mi fu lottar con la sventuraChe suscitommi incontra Enosigčo;
Incitō i včnti, mi fermō ogni via,
Immenso il mare sollevō. Del fiottoL'impeto non patė, che me portasse 370
Gemebondo il mio legno.
| |
Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437 |
|
|
Ogėgia Calipso Atlante Dea Deitā Olėmpio Ogėgia Eterni Calipso Dea Giove Sol Enosigčo
|