Benché sì accesi l'un dall'altro; tostoNon vorranno mai più dormir congiunti.
Ma questi inganni astuti e questi nodi 420
Stretti li riterranno, infin che il padreTornati m'abbia tutti quanti i doni,
Ch'egli s'ebbe da me quel dì, che questaSvergognata fanciulla a sposa diemmi.
Perfetta in vero è sua beltà; pur mai 425
Le invereconde brame non affrena."
? 321 Tacque; ed alla magion sul bronzo estruttaCongregârsi gli Dèi. Nettun se n' venne,
Dell'Orbe quassator, venne Mercurio,
Soccorrevole Iddio, Febo sorvenne, 430
Re dall'arco d'argento. Vergognando,
Chiusa in sua stanza vi risté ogni Diva.
Ma d'ogni ben larghi datori, i Numi
Nel portico arrestârsi. E tra lor surseImmenso riso, pur mirando l'arte 435
Dell'industre Vulcano. Ed al vicinoAlcun converso, in tal sentenza uscìo:
? 329 "Opra iniqua non mai prospera: è vintoL'agile dal più tardo. Ecco or Vulcano,
Sì tardo, Marte colse, in fra gli Olìmpii 440
Velocissimo Iddio. Quantunque zoppo,
Con l'arte il soverchiò, tanto che a drittoTôr gli può degli adùlteri la multa."
? 333 Alternavan tai detti, allor che Febo
Vòlto a Mercurio: "O del Tonante figlio 445
Largitor d'ogni ben, vorrestù avvintoDa nodi sì tenaci, in questo letto
Alla bionda giacer Vènere accanto?"
? 338 "Deh! ciò pur fosse, o re dall'arco, Apollo,
- Ripigliò tosto il Messagger celeste -, 450
E me tre volte tanti e vie più fortiTengan legami d'ogni parte avvinto,
E voi fitto in me solo abbiate il guardo,
O Numi o Dive tutte; io nondimenoAll'aurea giacerò Vènere accanto." 455
? 343 Mosser que' detti a novo riso i Numi,
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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437 |
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