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      Orba d'umani,
      Inseminata resta e inculta sempre, 160
      Né dà pastura che a belanti capre.
      Poiché né nave di vermiglia prodaRinverresti appo i Ciclopi, né fabbro,
      Di larghi legni construttor, con cuiAlterni uffizi prèstansi i mortali, 165
      Visitando città di estranie genti.
      Tali i disegni son che il mar varcando,
      Gli umani spesso pongono ad effetto.
      Di tal guisa potrebbero i Ciclopi
      Popolar l'isoletta e coltivarla. 170
      Ned isteril è già, ma tutto al tempoProdurrìa; lì, del mar canuto in riva,
      D'erba lieti e di fior, stèndersi scorgiIrrigui prati; né la vite mai
      Fôra di ricchi grappoli in difetto. 175
      Agevole al lavoro, ad ogni autunnoFolte del mietitor sotto la falce
      L'alte spighe cadrebbono; cotanta
      È della terra l'ubertà! Capace,
      Nell'isoletta ancora àpresi un porto, 180
      Dove non ti è mestier d'àncora o fune,
      Dove nullo ritegno i legni annoda.
      Tocco il lito, colà posan quieti,
      Finché brama il nocchier, fino a che il ventoPropizio spiri. Là, del porto a capo, 185
      Limpida sotto un antro acqua discorre,
      D'alti frondosi pioppi incoronato.
      Quivi approdammo; per l'oscura notteCerto un Dio ne guidò: ché per noi nulla
      Si discerneva; ombràvasi di densa 190
      Caligine il navil, né risplendeaDi Ciel la Luna, tra le nubi ascosa.
      Quivi alcuno, né l'isola né i vastiFlutti vide rotantisi in sul lido,
      Che quando a proda già corser le navi. 195
      Entrati appena, raccogliam le vele,
      Nel lito ci gettiam; vinti dal sonnoAspettavamo il sorgere dell'alba.
      ? 152 Com'Ella apparve, percorremmo intornoMeravigliando l'isola. Le Ninfe, 200


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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437

   





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