Dìrloti; ma tu ancor l'ospital dono 480
Pòrgimi, e ciò che promettesti attièmmi:
Nessuno è 'l nome mio; me i genitori,
Gli amici tutti chiamano Nessuno."
? 368 Tacqui e 'l crudel rispósemi: "Nessuno,
Divorerò te l'ultimo, pria gli altri; 485
Quest'è il dono ospital che ti si serba".
? 371 Detto, supin cascò, la gran cerviceReclinata sull'omero, dal sonno
Che tutto doma ciò che spira, vinto.
Fuor della strozza, a gurgiti cacciava 490
Brani d'umana carne al vin commisti,
Che nell'ebbrezza sua grave, recea.
Sotto le ardenti ceneri, onde affochi,
Tosto il palo sospingo; e col dir francoRincoro i miei, non forse impaurito 495
Qualcun nel fier periglio m'abbandoni.
Ma come, benché verde, era lì lì
Per ardere, qual bragia alto splendendo,
Dal foco il trassi, ed i miei fidi in questaMi si strinsero intorno; ardire immenso 500
Inspiràvami un Dio. Già già afferratoDa' miei quel palo dall'acuta punta,
Gliel conficcâr nell'occhio; ed io di sopraPontando, rigiràvalo. In tal foggia
Trave naval col trapano trivella 505
Un mastro: a lui di sotto altri operai,
Di qua, di là tiran la soga; rattoVòlvesi 'l ferro, né s'arresta mai.
Così, per noi del Ciclope nell'occhioL'acceso tronco aggìrasi: bollente 510
Scaturìa 'l sangue, le palpèbre e 'l ciglioStruggea vapor focoso, e la pupilla
Dall'alta fiamma nell'ime radiciRotta e consunta, crepitar s'udìa.
Qual se fabbro talora in gelid'onda 515
Od ascia attuffi, od una gran bipenne,
Con che al ferro dà forza e lo rattempra,
Stridir la s'ode; tal del tronco intornoStridea l'occhio del Ciclope, che orrendi
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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437 |
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Tacqui Dio Ciclope Ciclope
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