Che tenni il più assennato, alfin m'appiglio.
Pingui, denso-velluti, e belli e grandiMontoni, carchi di un'oscura lana 560
L'antro chiudeva. Io tacito gli avvinsiCo' flessibili vinchi, su cui 'l mostro,
Dotto in rie scelleraggini, dormìa.
Tre per volta ne avvinsi e quel di mezzoUn uom portava; si tenean da lato 565
Gli altri due, che de' miei fécersi schermo.
Da tre montoni ogni uom quindi era tratto.
Restàtovi colà un ariete,
Fior dell'armento, lo afferrai pel dosso,
Mi rivoltai sotto il velloso ventre, 570
Ed avvolte alle man le dense lane,
Con intrepido cor mi vi sospesi.
Così, non senza gemiti, 'l ritornoAspettavam della divina Aurora.
? 437 Non appena brillò, che alla pastura 575
Irrompevano i maschi, e le non munteFemmine di belati empiean le stalle,
Ché di troppo sentìan le mamme gravi.
Dell'antro il Re da rie doglie trafitto,
D'ogni monton che gli sovrastava 580
Percorrea 'l dorso, né sospetto al folleNell'alma s'ingerì, che sotto ai petti
Villosi i prodi miei pendeano avvinti.
Alfin varcò la porta, ultimo, il grandeMontone, de' suoi velli e di me carco, 585
Cui sorse in mente il provvido consiglio.
? 446 Polifemo il blandì, poscia: "Oh! dilettoAriete, perché dell'antro or m'esci
Ultimo? Non già pria disgiunto usaviDall'agnelle restar; primo di tutti 590
Brucavi dell'erbetta i molli fioriCon lunghi passi, e primo pur giungevi
Alle correnti limpide de' fiumi;
Primo da sera rientrar nel chiusoBramavi, ed or di tutti ultimo sei? 595
Sospiri l'occhio del tuo Re? Un codardoMortal co' rei compagni il mi divelse,
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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437 |
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Aurora Polifemo
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