Anzi alla proda lo gettò del legno.
L'alpestre cima ruinando, ad altoIl mare sollevò, dal rifluente
Impetuoso fiotto a urtar la sponda 640
Già già 'l legno correa... Ma lungo lungo,
Afferrato da me subito un palo,
M'allontanai dal lito, indi eccitava,
Accennando del capo, i miei compagniA curvarsi sul remo, ed il funesto 645
Rischio a fuggir. Curvàtisi sui remi,
Tutti di forza arrancano. Poi quandoDoppio tratto di mar lunge noi fummo,
Riparlar volli al Ciclope, ma tutti,
Di qua, di là ristrèttimisi intorno, 650
Tentavan con parole affettuose,
Dal mio proposto svolgermi i compagni.
? 494 "Ahi! poco senno! Perché vuoi l'uom crudoNuovamente irritar? Non ha un momento
Ch'ei questa roccia fulminò, per cui 655
La nave a terra risospinta, tuttiCi tenemmo per morti. Or se un tuo grido,
Se un detto udrà, certo una roccia enormeAvventerà, che il capo a tutti e il legno
Sfracellerà; tal di sua destra è 'l tiro!" 660
? 500 I compagni così; ma persuasaNon fêr l'altera anima mia. Dall'ira
Indomita sospinto, a ridir tolsi:
? 502 "Ciclope, se del turpe accecamentoDell'occhio tuo qualcuno de' mortali 665
T'interroga, dirai: m'accecò Ulisse,
L'eversor di Città, figlio a Laerte,
Il cui palagio in Ìtaca si estolle."
? 506 Tacqui, e 'l mostro ululò; poscia: "Ohimè - disse -,
gli antichi vaticini ecco m'han colto. 670
Qua v'ebbe un vate già forte, possente,
Il supremo degli àuguri, Telèmo
Figliuol d'Eurimo, che appo noi 'l velameSquarciando del futuro, incanutìa.
E' presagìami ciò che già m'avvenne: 675
'Spento l'occhio ti fia per man d'Ulisse'.
| |
Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437 |
|
|
Ciclope Ulisse Città Laerte Tacqui Telèmo Eurimo Spento Ulisse
|