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      Della mia donna; sta col figlio e tutteLe ricchezze mi guarda? o 'l più prestante
      De' prenci Argivi la menò a consorte?"
      ? 180 Tacqui; ed a me la veneranda madre: 235
      Costante e mesta in tua magion sta chiusaPenèlope; affannosi i dì e le notti
      Sempre le si consumano nel pianto.
      Niun t'usurpò l'aver; vigila quetoSui tuoi campi Telèmaco e si asside, 240
      Al regno nato, ne' superbi prandiA cui tutti lo invitano. Laerte,
      Il padre tuo, sta lì nella campagna,
      Né a città volge il piè; quivi non letti,
      Non manti o strati o coltrici stupende; 245
      Ma nel verno, sul cenere disteso,
      Accanto al focolar dorme tra i servi,
      In rozzi panni la persona avvolto.
      Quando riede l'estate o 'l ricco autunno,
      Qua, là sui mucchi di cadute frondi 250
      Della più fertil sua vigna, gli umìliLetticciuoli si stendono; ivi giace
      Travagliato e la tua sorte gemendo,
      Vie più 'l duolo il tormenta. Il preme inoltreDura vecchiezza. Anch'io così, da grave 255
      Angoscia vinta, al mio fato soggiacqui;
      Né me la Dea dall'infallibil'arcoDi mite strale saettò, né lungo
      Morbo m'invase, che con detestatoLanguir, le membra consumando uccide. 260
      Ma la brama di Te, ma l'affannosaCura de' tuoi perigli, e 'l membrar quanto
      Amor sempre m'hai posto, inclito Ulisse,
      Troncâr del caro viver mio lo stame."
      ? 204 Detto, invano pensai stringermi al seno 265
      L'ombra materna; m'avventai tre volteDal cor sospinto, a prènderla; e tre volte
      Dalle man mi sfuggì, qual sogno od ombra.
      ? 203 Trafitto 'l cor vie più d'acuta doglia,
      Deh! perché, madre mia - ratto soggiunsi -, 270


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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437

   





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