Qua, là pasce la terra, a ordire intesiVaghe menzogne intorno a una contrada 475
Non vista da alcun mai; ma in te l'ornataParola, in Te retto il pensiero abbonda.
Emolo ad un gentil vate, le graviDagli Achei sostenute aspre sventure
E le tue proprie ci narrasti. Or via, 480
Piàcciati raccontarmi a parte a parte,
Se qualcuno de' tuoi prodi compagni,
Che ad Ìlio ti seguîr, vedesti e ch'iviCombattendo perîr. Lunga è la notte,
Dismisurata; ned ancor qui è giunta 485
L'ora del sonno. Adunque, i gloriosiTravagli tuoi mi narra. Omai m'è tardo
Udir da te sì nove meraviglie.
Aspetterò dell'alba anche il ritorno,
Quando tu sosterrai contarmi tutti 490
Que' tanti che soffristi immensi affanni."
? 376 "Havvi, o di queste genti inclito Sire,
- Ulisse ripigliò -, tempo de' lunghiRagionari, e de' sonni havvi anche un tempo.
Ma se ti punge 'l cor desìo di udirmi, 495
Non io ricuso altri narrarti ancoraCasi più gravi: il rio fato de' miei
Che da sezzo perîr, non che di quelliChe là trovâro nell'Ilìache piaggie
Scampo all'acerba guerra, indi al ritorno, 500
Colpa d'iniqua femmina, perîro.
? 385 Poiché fûr l'ombre delle donne illustriDalla casta Prosèrpina disperse,
Di Atride Agamennón l'alma sorvenne,
Sconsolata; affollate a lui d'intorno 505
Stavan l'altre di que' che perîr secoNegli alberghi d'Egisto. Il negro sangue
Libato, riconóbbemi; e via viaDiede in pianto dirotto. In vèr me stese
Le mani, pur di stringermi bramoso; 510
Ma svigorito gli fallìa la lenaChe le gagliarde un dì membra gli resse.
Tocco il cor di pietà, fuori dal petto,
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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437 |
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Achei Sire Ilìache Prosèrpina Atride Agamennón Egisto
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