Faètusa e Lampèzie, inclita proleChe al Sole Iperióne partorìa
La divina Neèra. Amendue crebbeLa madre e le mandò da sé remote
Nella Trinacria, de' paterni a guardia 165
Greggi e de' buoi dalle ritorte corna.
Se illesi andran per voi, non fia delusaDel ritorno la speme e calcherete,
Patiti molti guai, le patrie sponde;
Ma se offènderli ardite, a te predìco, 170
Alla nave ed a' tuoi sterminio e morte.
E se tu stesso dal periglio graveTrar ti potessi mai, tardi ed oppresso
Da fieri casi e perduti i compagni,
Alla terra natìa far dèi ritorno." 175
µ 142 Tacque e sul trono d'òr fulse l'Aurora.
Attraversando l'isola, se n' gìaCirce a' suoi tetti; ed io rivolto 'l passo
Vèr la nave, a salire e sciôr le funiConfortava i compagni. Incontinente 180
Entrâr, si collocarono sui banchi,
Ed in lungo seduto ordine, tuttiFéan co' remi percossi, il mar spumante.
Già retro al pin dall'azzurrina prodaLevossi un vento e ne gonfiò le vele; 185
Fido compagno che spedìane Circe,
Diva dall'aureo crin, dal dolce canto.
Ratto deposti entro la nave i remi,
Sedevamo, ché il vento ed il nocchiereDirigévanle il corso. Io, benché mesto, 190
Drizzava a' prodi miei questo sermone:
µ 154 "Bello, amici, non è che ad uno o dueSol, noti sìen gli oracoli che Circe,
Inclita Dea, mi disvelò; or vo' dunqueChiarirli, acciò se perirem, sappiate, 195
O se campato il rischio, a' rei destiniFuggirem della morte. In pria la voce
Delle dive Sirene ed i fioritiPrati schivar ne indisse; udirla solo
Concesse a me, ma all'alber della nave 200
M'allaccerete, sì ch'io resti immoto;
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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437 |
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