Precipitò, destò negra tempestaLo Zèffiro stridendo. All'irrompente
Buffo del vento, amendue si spezzâroDell'albero le funi, e giù riverso 525
Cadde, gettando della nave in fondo,
Vele ed antenne. L'albero in caggendoDi vèr la poppa, al timonier la testa
Con l'ossa fracassò; giù dalla poppaQual palombaro ruinò, e lo spirto 530
Via dal corpo volò. Di Giove intantoSpesseggiavano i tuoni, in sulla nave
Il folgore scagliò. Dall'igneo teloPercossa, tutta rigirossi e un nembo
La ravvolse di zolfo. I miei già scossi 535
Dal naviglio, vagàvangli d'attornoTrabalzati dal fiotto, simiglianti
A marine cornìci; e sì a lor sempreIl giorno del redir rapiva un Dio.
µ 420 Io percorreva il legno, finché un turbo 540
Disvèlsegli dai fianchi la carenaChe dal mar travolgévasi. Già l'onda
Schianta l'alber dall'imo, a cui ravvoltaSta lunga striscia di bovina pelle;
L'alber con essa alla carena strinsi 545
Tenacemente, e sovr'essi disteso,
Funesti vènti mi spingean sull'onde.
Qui di più imperversar con la tempesta,
Zèffiro cessa; ed ecco Àustro sorvieneImpetuoso a stringermi d'affanno, 550
Non forse la mortifera Cariddi
Rimisurar mi spinga. TrasportârmiL'intera notte i flutti; alzato il Sole,
Tra la roccia di Scilla e la voragoMi trovai, che del mar l'onde tranghiotte. 555
Io nell'aria lanciàtomi, a quell'altoFico selvaggio m'avvinghiai, m'infissi
Qual vipistrel; ma di sostegno manco,
Né i piè fermar né alzar potéami in suso,
Tanto distavan le radici, e tanto 560
Lunghi alti immensi distendéansi i rami,
Che in su l'abisso protendeano l'ombra.
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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437 |
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Zèffiro Giove Dio Cariddi Sole Scilla
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