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      Trafitto sempre il cor d'aspri tormenti, 420
      Errai sin che mi liberâro i Numi;
      Vero è che dianzi tra i Feaci illustri,
      M'incorò la tua voce e tu medesmaPer entro a lor città, duce mi fosti.
      Or io pel genitor, Diva, t'imploro 425
      (Che non già nell'illustre Ìtaca mia,
      Star mi cred'io, ma in qualche piaggia estrana;
      Credo che a scherno col tuo dir mi prenda,
      Onde la mente illudermi). Deh! parla:
      È questa la natal dolce mia terra?" 430
      ? 329 "Ahi! poca fede, di sospetti è sempre
      - Pàllade ripigliò - nido il tuo core;
      Ma che? tu se' infelice ed io non possoAbbandonarti: tal d'ingegno acume,
      Tal facondia, tal senno in te risplende! 435
      Reduce appresso a tanti error, chi maiRatto alla sua magione ito non fôra
      A rivedere i figli e la consorte?
      Ma tu nulla saper, né chieder vuoi,
      Prima che di Penèlope non t'abbi 440
      Certificato: di colei che siedeNel tuo palagio ad aspettarti invano;
      E mesti sempre i dì, meste le nottiIn sospiri ed in lagrime consuma.
      Non mai dubbio in me sorse, anzi per entro 445
      Splendévami il pensier, che tu farestiQua, perduti i compagni, a' tuoi ritorno;
      Ma non volli a Nettun mover contrasto,
      German del padre mio, Nettun che in pettoRancore acerbo contra te nutrìa, 450
      Poiché il diletto suo figlio accecasti.
      Su via, fa' cor. Acciò ti persuada,
      Or io mostrar ti vo' d'Ìtaca il sito.
      Ecco il porto di Fòrcide e l'ulivoDi lunghe frondi, che gli sorge in cima, 455
      Quivi sacro alle Nàiadi ecco l'antroAmabile profondo; in quella vasta
      Grotta convessa tu medesmo spessoMolte sagrificavi all'alme Ninfe


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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437

   





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