Non qual si addice, aspirano alle nozze,
Né riedono a' lor tetti, ma quieti,
Senza modo, ad oltraggio e tutti a garaL'altrui retaggio a divorar si fanno. 125
Quante notti da Giove e quanti giorniNe vengono, non mai d'una o di due
Vittime egregie si trovâr contenti,
Beendo a dismisura, esausto omaiGli hanno il dolce Ličo. Certo il Re mio 130
Gran beni possedea; nullo del brunoContinente, né d'Ětaca medesma
Eroe, né vénti riuniti ad una,
Altrettanti ebber mai: piŕcemi il tuttoOr divisarti: Dodici in Epiro 135
Torme di buoi, tante di greggi e tanteStalle di verri, e paschi ampi di capre,
A guardia tutto di stranieri a prezzoE di pastor del Rege. Undici inoltre
Lŕ nell'estremitŕ di questa terra, 140
Larghi serragli v'ha di capre, al cuiGoverno seggion vigili custodi,
Che recar ogni dě deggiono a' Proci
Qual bestia nel capril tengon piů bella,
Ed io stesso che guardo e intento serbo 145
Questi verri, a lor sempre il fior ne invio."
? 109 Tacque; ma Ulisse a trangugiar le carni,
A bere il vin si diede avido e muto,
Pur la strage de' Proci in cor volgendo.
Confortato di cibo, Eumčo li porse 150
Colma la tazza in che egli ber solea.
Giubilando ei la prese e sě gli disse:
? 115 "Ospite, chi fu l'uom ricco e possente,
Che ti ha compro del suo, come narrastiE che periva per l'onor pugnando 155
D'Agamennóne? Děllomi, fors'io,
Tal ei sendo, il conobbi. Il Fulminante
E gli altri Eterni il sanno, se annunziartiPossa che 'l vidi, perocché per molte
Contrade estrane ramingando andai." 160
? 121 Ed il pastor: "Buon veglio! alcuno errante
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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437 |
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Giove Ličo Dodici Epiro Rege Proci Tacque Ulisse Proci Eumčo Agamennóne Fulminante Eterni
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