Ne' culti campi d'Ìtaca felice 445
Giunti a sera, legâr tenacementeMe nella nave con attorta fune,
Indi scesi del mar lungo la riva,
Preser la cena. Ma spezzommi un Dio
Que' vincoli repente; al capo intorno 450
Questi cenci m'avvolsi e lungo il liscioTimon giù scivolai; col petto steso
Sull'onde, d'ambe man sì remigai,
Che da loro lontan ratto m'addussi.
Giunto a riva, lì salsi ove un querceto 455
Frondeggia e quatto quatto ivi m'ascosi.
Quei vagâr sospirosi, né scorgendoTraccia o indizio di me, si rimbarcâro.
Me di leggier ascosero gli Eterni,
Guidandomi d'uom saggio all'umil tetto; 460
Perciò in fato m'ebb'io vivere ancora."
? 360 E tal risposta tu gli fésti Eumèo:
Ahi! degli ospiti tutti il più infelice,
Quanto il cor mi commosse il tuo raccontoDe' guai patiti e del tuo andar ramingo! 465
Ma pàrmi, che a ragion non persuasoIo sia di ciò che tu narri d'Ulisse.
Deh perché qual se' tu, mentir ti ostini?
Io medesmo ben so quanto in odio hannoDel signor mio 'l ritorno i numi tutti, 470
Ben lo mi so; poiché, no, nol domâroNe' campi d'Ìlio o de' suoi fidi in braccio,
Posto ch'egli ebbe termine alla guerra.
Tutte alzato gli avrìan le Dànae gentiSuperbo monumento, onde verrìa 475
Ne' dì venturi, al figlio inclita gloria.
Ma l'Arpie il si rapîro inonorato.
Da indi in qua vivo tra i branchi ascosoNed a città me n' vado, se non quando
Giunta da qualche banda una novella, 480
La saggia a me Penèlope il m'ingiunga.
Ristretti intorno allo stranier, a garaL'interrogan, così que' cui la lunga
Assenza del mio Re rese dolenti,
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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437 |
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Dio Eterni Eumèo Ulisse Dànae Arpie Penèlope
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