Medónte il banditor la fece accorta, 490
Cui non erano ascosi i rei disegni.
L'esimia donna traversò veloceLa sala con le ancelle, e come giunse
Dinanzi ai pretendenti, in sulla sogliaDella porta risté, d'un sottil velo 495
Adombrata le guance. All'Eupitìde
Rivòltasi, il garrìa con questi accenti:
p 418 "Vil di misfatti artefice e di guai,
Antìnoo scellerato! e gl'Itacensi
Te fra i tuoi pari, in senno ed in facondia 500
Tengono il primo? Oh! tal non fosti mai!
A Telèmaco mio, deh! perché trami,
O perfido! la morte e non ti toccaPietade 'l cor degli ospiti che guarda
Giove dal Ciel? Non è già pio consiglio 505
Alterne stragi macchinar. O forseIgnori tu, che in questa reggia stessa
Riparò il padre tuo già fuggitivo,
L'aspra temendo popolar vendetta?
Concitato s'avea l'ira di tutti, 510
Perché i Tafi ladron seguendo, nocqueA' Tespròti, con lega a noi congiunti.
Già struggéansi d'uccìderlo e del pettoTrargli 'l cor e ingoiar le sue dovizie;
Ma sorse Ulisse, 'l divietò. Gl'irati, 515
Quantunque ardenti di ferir, contenne:
Tu l'aver gli consumi, o inverecondo,
La consorte ne ambisci, il figlio uccidi,
Me d'aspro duol trafiggi! Or via, l'ingiungo:
Cessa; e 'l costor mal animo reprimi." 520
p 434 E 'l Polibide: "Icàride prudente,
Fa' cor, né cura tal t'agiti l'alma.
Non è, né v'ebbe, ned alcun fia mai,
Che la man sul tuo figlio alzare ardisca,
Sin ch'io spiri e questi occhi apra alla luce. 525
Questo dico, né invan; ché il costui sangueRatto giù scorrerìa per la mia lancia.
Fitto m'è nel pensier, come sovente
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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437 |
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Eupitìde Itacensi Telèmaco Ciel Tafi Tespròti Ulisse Polibide
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