Nel talamo giacer di quel possente! 150
Quai cerbiatti lattanti che nell'antroDi fier lion ripone incauta cerva,
Indi per gioghi e per erbose valliVàssene a pasturar, quand'ecco riede
La belva al lustro e dispietata e turpe 155
Mena strage di tutti; in simil foggiaUlisse i Proci immolerà. O gran padre
Giove, o Minerva, o Febo. Ah! fate voiChe tal e' sia, qual fu già un tempo, quando
Disfidato dal pro' Filomelide, 160
Là sulla forte Lesbo, a lottar sorseImpetuoso e l'atterrò; festose
Grida alzarono al Ciel tutti gli Argivi.
Oh! Tal sendo, costoro egli affrontasse!
Nozze avrebbono amare e morte pronta. 165
Quanto a ciò che mi chiedi e udir ti è tardo,
Schietto il dirò, né paventar d'inganno.
Né ascoso già terrò ciò che 'l veraceVeglio marin mi fece manifesto.
Dìssemi che in solinga isola ei vide 170
Patire Ulisse aspro martìr appressoAlla Ninfa Calipso che in sue case
Per forza il si ritien, ned al natìoPaese redir può. Ché di navigli,
Di rèmigi in difetto il vasto dorso 175
Trascorrere non può del mar ondoso."
? 147 Così 'l pugnace Menelao. Poi ch'ebbiFornito ciò, partii; propizio 'l vento
Gli Eterni m'inviâr, che mi raddusseVelocemente alla natìa contrada." 180
? 150 Commosso 'l cor addentro si sentìoA que' detti Penèlope. Ma in questa
Sorse tra lor, da un Nume esagitato,
Teoclìmene: "O veneranda - esclama -
Sposa d'Ulisse! Certo aperti e chiari 185
Non vide Atride, no, questi destini.
Tu pon mente al mio dir ch'or, del futuroSquarciato 'l velo, t'appaleso il tutto.
Giove, massimo Iddio, renda al mio detto
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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437 |
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Proci Minerva Febo Filomelide Lesbo Ciel Argivi Ulisse Ninfa Calipso Menelao Eterni Commosso Penèlope Nume Ulisse Atride Iddio
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