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      Che l'aver del tuo Re qui si consumiDa tanta schiera? che né so ben donde,
      Questi ancora chiamasti?" A cui 'l pastore: 465
      ? 381 "Benché prode sìe tu, non ben favelli;
      Chi mai d'altronde un forestiere invita,
      Dove in arte non fosse ammaestratoUtile ai più? Come profeta, o dotto
      Di morbi fugator, o fabbro in legno, 470
      Od altissimo vate che n'allettiCantando? Questi sulla terra immensa
      Illustri sono ed a sé ognun li chiama:
      Non l'ìnope che viene a logorarti.
      Se non che tu, fra i Proci tutti, acerbo 475
      Co' servi del mio Re fosti mai sempre,
      E via più meco; ma di ciò non calmi,
      Finché l'alma Regina e 'l deiformeTelèmaco vivrànnomi benigni."
      ? 393 E Telèmaco: "Acquètati - riprese -, 480
      Che più lungo sermon non gli si addice.
      Usanza è di costui con aspri dettiOltraggiarne e incitar gli altri all'oltraggio."
      Indi con ratte voci: "Antìnoo - disse -,
      Cura di me prendi qual padre e ingiungi 485
      Con acerrimo dir, che quinci in bandoCàccisi lo stranier; ciò tolga un Dio!
      Prendi e gli dà, non io già 'l ti divieto,
      Anzi 'l ti chieggio: né alla madre mia,
      Né dar noia per ciò potresti ai servi 490
      Che in sé rinchiude la magion d'Ulisse.
      Pur tal pensier non cape in Te, ché bramiDivorar sì, ma non far parte altrui."
      ? 405 "Dicitor insolente, indomit'alma
      - Antìnoo ripigliò -, che dir osasti? 495
      Se i Proci tutti fèssergli quel donoCh'io gli riserbo, certo per tre Lune
      Non porrìa, no, su queste soglie, 'l piede."
      ? 409 Detto, afferrò con minaccevol attoIl sotteso sgabel su cui posava 500
      Vivandando, i piè molli.


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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437

   





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