Conceda, ospite, a te Giove e la schieraDegli altri Eterni, a te che a questo ghiotto
Togliesti l'accattar per la cittade.
Perocché 'l trarrem lā ratto in Epiro,
A Čcheto Re, flagello de' mortali." 145
s 117 Gioiva Ulisse dell'augurio. InnanziPósegli l'Eupėtide enorme un ventre
Pien d'adipe e di sangue. In questa Anfėnomo,
Dal canestro due pan tolti gli porseE propinō con aureo nappo: "Oh! salve, 150
Ospite venerando, almen t'arridaProsperitā ne' dė futuri; or certo
T'opprime il pondo d'infiniti guai."
s 124 Ed il sagace eroe: "Certo uom prudenteAnfėnomo mi sembri e tal fu il padre; 155
Udėa che Niso un prence era in Dulėchio
Di gran rinomo, ottimo e ricco. Č famaCh'egli t'ingenerō, né tu per certo
Dal sapiente sir punto traligni.
Quind'io ti parlo e tu pon mente e m'odi: 160
Di quanto spira o serpe in su la terraNulla havvi pių dell'uom misero e infermo.
Finché lieto di prospere ventureGl'ingagliardisce le ginocchia un Dio,
Non mai fa stima di patir disastri; 165
Ma se gli Eterni 'l travolgono in basso,
Ripugnando con forte alma il comporta,
Ché a seconda de' casi, o lieti o rei,
Che Giove adduce, č de' mortai la mente.
Felice anch'io viver solea, ma spinto 170
Da' prepotente ardir, posta nel padreE ne' fratelli miei tutta fidanza,
Molte pur troppo, inique opre commisi.
Dunque, niun mai sia ingiusto ed in silenzioGl'impartiti dal Ciel doni fruisca. 175
Pur, quanti nequitosi atti da' Proci
Comméttonsi! Devastan le ricchezze,
E la consorte oltraggiano d'un prodeChe dal natėo paese e dagli amici
Non rimarrā, cred'io, molto lontano.
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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437 |
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