Due ancelle. Come giunse appo gli amanti,
Risté sul limitar l'orrevol donna, 260
D'un vel ombrata l'una e l'altra gota,
Tra amendue le sue donne. A quella vistaFiaccar sentîro le ginocchia i Proci;
Rapiti, accesi d'amorosa bramaTutti féan vóti di giacerle accanto. 265
Ella al figlio diletto a dir si prese:
s 215 "Telèmaco, non più, né pensier fermoNé senno scorgo in te; miglior d'assai
Della tua fanciullezza era il consiglio:
Or che se' grande e dell'età in sul fiore, 270
Ora che lo stranier dice in veggendoLa tua statura e la beltà, per certo
Esser germoglio tu d'inclito eroe,
Né senno, né pensier giusti dimostri.
Ahi! qual fiero delitto or si commise, 275
Patendo tu, che l'ospite s'oltraggiIn sì rea guisa! Or, che di te fia detto?
Quando accolto in tua reggia, un forestiereGrave sostiene oltraggio, il carco e l'onta
Su te, al cospetto delle genti cade." 280
s 225 Ed il garzon: "Non biasmo il tuo corruccio,
O Madre mia! Nell'imo cor pertantoTutte cose comprendo, e buone e rie
(Ché fanciullo era pria), ma pur m'è toltoAnch'oggi oprar ciò che prudenza insegna. 285
Oppresso di stupor, vegg'io costoroInsidiando stàrmisi d'attorno,
Né trovo chi per me sorga e m'aìti.
Quanto alla zuffa che appiccâro insiemeL'ospite ed Iro, in che prevalse 'l primo, 290
No, de' Proci 'l voler parte non v'ebbe.
Deh! piaccia a Giove, a Pàllade ad Apollo
Che costoro tentennino la testa,
Già vinti e domi, gli uni nel cortile,
Gli altri nell'aula, e che abbiano le membra 295
Rotte, come quell'Iro che alla portaDell'atrio or siede a guisa di briaco.
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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437 |
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Proci Madre Iro Proci Giove Pàllade Apollo Iro
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