Ne' lunghi dì di Primavera, e armatoFoss'io di adunca falce e tu il pur fossi,
Sino al buio digiuni ambo, già fôraTutta dal canto mio, falciata l'erba.
O se tauri a guidar ci desser forti, 460
Fulvi, di vasta mole e ben satolli,
Pari d'età, di forza, 'l cui vigoreIntegro fosse e ci si desse un campo
Ampio, di quattro iugeri u' la glebaAll'aratro cedesse, allor vedresti, 465
Se tirar so lungo e profondo il solco.
O se da qualche parte, oggi 'l Satùrnio
Terribil guerra qui accendesse e scudoE due lanciotti ed alle tempie adatto
Di bronzo un elmo m'avessi io, commisto 470
Me vedrestù tra i primi combattentiIrrompere alle stragi e non più carco
Mi daresti d'inerte e di vorace.
Ma ti piaci oltraggiar, perché inclementeE di cor duro; uom d'alto affar t'estimi, 475
Valente e grande, perché in mezzo a pochi,
Men che prodi, t'avvolgi. Oh! se qui giungeUlisse, se al natìo loco alfin riede,
Queste porte, benché vaste cotanto,
Strette parranno a te, travolto in fuga 480
Fuor dalle soglie del regal palagio."
s 387 Vie più in suo cor furendo, il guatò biecoEurìmaco e gridò: "Misero! Tosto
Vo' disertarti; Oh! come audace parliFra tanti eroi, né mai nulla paventi! 485
Se' tu briaco? Od hai turbata sempreLa mente e gracchi? O t'insanì la gioia,
Perché 'l mendico e vil Iro atterrasti?"
s 394 Ghermì ciò detto lo sgabel, ma Ulisse
Si ristrinse d'Anfìnomo a' ginocchi 490
Ed al colpo sfuggì, che in vece colseNella destra il coppier: la coppa in terra
Con istrepito cadde ed il donzelloSi riversò gemendo nella polve.
Alto rumor nell'oscurata sala 495
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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437 |
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Primavera Satùrnio Vie Iro Ghermì Ulisse Anfìnomo
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