Tra i Proci si levò; ciascun mirandoAl suo vicin, movea queste parole:
s 401 "Deh! morto fosse pria che qua giungesseIl ramingo stranier; tal rio tumulto
Sorvenuto non fôra. Or contendiamo 500
Per un tapin; fuggisti omai per sempre,
O voluttà de' nostri lieti prandi,
Poi che l'avviso de' peggior prevale."
s 405 E Telèmaco: "Ahi! miseri! di fermoVoi delirate: ecco a qual fiero estremo, 505
D'esca e di beva il trasmodar vi spinse;
Certo v'instiga un Dio. Pur ben satolli,
Ite a corcarvi negli alberghi vostri,
Se ciò v'aggrada: io non discaccio alcuno."
s 410 Tutti col morso comprimendo il labbro, 510
A' franchi detti del garzon stupîro.
Ma Anfìnomo, di Niso inclita prole,
Surto tra lor mosse tai detti: "Amici!
A sì giusto parlar non sia chi tolgaCon acerbe rampogne a far contrasto; 515
Né l'ospite s'offenda o alcun de' serviChe in sé recepe la magion d'Ulisse.
Su via, 'l coppier ministri in volta i nappi,
E fatti i libamenti, rientriamoIl riposo a gustar ne' propri alberghi; 520
Prender lasciam dell'ospite la curaA Telèmaco al cui tetto s'addusse."
s 422 Piacque a' Proci 'l consiglio. Il Dulichiense
Mulio, araldo d'Anfìnomo, nell'urnaTemprato il vin con sottil cura, a tutti 525
Ne' spumanti bicchier lo porse in giro.
Libato a' Numi, 'l vin dolce gustâro;
Ma posto fine a' libamenti, tuttiBebbero a pien talento, indi a corcarsi
Al proprio albergo ciaschedun movea. 530
LIBRO XIX
Colloquio di Ulisse e di Penèlope;
il primo è riconosciuto dalla nutrice Euriclea
POICHÉ nell'aula divisò la strageDe' Proci con Minerva il divo Ulisse,
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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437 |
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