Luce e tepor d'intorno si diffuse.
t 65 A rimordere il re di nuovo sorseMelanto: "O forestier, di notte ancora, 85
A dar noia t'avvolgi, entro il palagioLe donne ad ispiar? Via, sciagurato,
Bàstiti 'l cibo che ingollasti o tosto,
D'esto tizzo percosso, uscirai fuora."
t 70 La guatò bieco Ulisse e sì rispose: 90
Misera! Perché sempre in gran corruccioM'infesti? Perché me vecchiezza oppresse,
E vili panni indosso, e vo alla cercaPer la città? Necessità m'astringe:
Tal è il destin di chi mendica ed erra. 95
Noi pur fiorimmo un dì: ricca magioneAbitava felice e (qual si fosse)
Al pellegrin che a me si rivolgea,
Spesso di ciò che bisognò, fui largo.
Servi innumeri m'ebbi, e gli agi tutti 100
Di que' che in mezzo a gran copia vivendo,
Opulenti si chiamano. Ma Giove
Da tant'altezza mi travolse in basso;
Sàssel egli 'l perché. Pon mente or dunque,
Giovinetta, non forse ti si sperga 105
Questo fior di beltà che sì t'adornaE fra le tue conserve ir ti fa altera.
Paventa, che l'Icàride adirataSu te non infierisca, o torni Ulisse,
Ché gran parte di speme anco n'avanza. 110
Ma s'ei perì, se disperar n'è forza,
Emolo al padre, la mercé di Febo,
Telèmaco qui sta, non più fanciullo,
Cui celarsi qual femmina delinqueIn sua magion, certo è impossibil cosa." 115
t 89 Penèlope l'udiva e con acerbeRampogne ad isgridar féssi l'ancella.
t 91 "Audace sopra ogni altra, invereconda!
No, non m'è ascoso il tuo misfatto, e 'l dèiScontar con la tua testa. Oh! ben sapevi 120
(Da me l'udisti tu), ch'io pur voleaL'ospite interrogar nelle mie stanze,
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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437 |
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Ulisse Giove Icàride Ulisse Febo Penèlope
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