QuiviSvolto dalle Malče quand'ěva ad Ělio,
Impetuoso un vento lo sospinse;
Sull'Amniso fermosse appo la grottaD'Ilitěa, in dubbio e periglioso porto, 245
In che dal turbo riparava a stento.
Giunto a cittŕ, di subito richieseD'Idomenčo che venerando e caro
Ospite suo chiamň. Giŕ giŕ comparsaLa decim'era o l'undicesim'alba, 250
Dopo che accolto sui capaci legniLe vele alzň včr'Ělio Idomenčo,
Nel mio palagio l'addussi io. Di lieteOspitali accoglienze onor gli féa,
Poiché d'agi l'ostel non m'era scarso. 255
E tenni modo ancor, che il popol tuttoA lui diede, non men che a' suoi seguaci:
Cereal polve, fervido Ličo,
Buoi da sgozzar, sě che sbramârsi a pieno.
Dodici dě restâr gli Argivi in Creta, 260
Ché féa lor forza il grave impetuosoBoreal vento; tal che in sulla terra
Rčggersi in pič non perdonň ad alcuno:
Certo un fier nume l'eccitava. Al fine,
Nel tredicesmo dě cadde, e le Argive 265
Prode correano pe' cerulei campi."
t 203 Cosě dicea fingendo e cosě davaDel vero a molte favole l'aspetto.
Pianse ella in ascoltando; illanguiditaMancar sentissi. Come neve sparsa 270
Da Zčffiro sui monti alti, si solveAl tepido soffiar d'Čuro, dall'alto
Corrono i rivi ad ingrossare i fiumi;
Tal di pianto inondŕvasi il bel visoDi lei gemente l'amato consorte, 275
Assiso lě al suo fianco. InteneritoAl suon de' tristi lai della sua donna,
Ulisse addentro il cor sentě, ma gli occhiStŕvangli a par di corno o vuoi di ferro,
Nelle palpčbre immoti; artatamente 280
Reprimeva le lagrime. Poiché ellaDi querimonie e di pianti fu sazia:
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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437 |
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