Di lagrime, la sua languida voceNell'uscir si fermò. Stésagli alfine 605
La destra al mento, esclama: "Ah! tu se' Ulisse,
Il caro figliuol mio; né ravvisartiFatto mi venne pria: pria d'aver tocco
Questa ferita da cui chiara viemmiTestimonianza che il mio Re tu sei." 610
t 476 Detto, gli occhi intendendo alla regina,
Dirle anelava, che il consorte amatoStàvale presso. Ma benché di contra,
Né vederlo potea, né porvi mentePenèlope; ché 'l cor Palla le svolse. 615
In questa, Ulisse l'afferrò alla golaCon la destra e con l'altra a sé la trasse,
Dicendo: "Vuoi tu pèrdermi, o nutrice?
Pur tu medesma del tuo sen col latteNudristi un giorno me che dopo tanti 620
Patiti affanni, nel ventesim'annoRitorno al suol natìo. Ma poiché accorta
Di me ti fésti e che nell'alma un Dio
Il mio segreto ti depose, taci,
Ned altri 'l sappia qui. Ciò che or ti dico 625
Certo avverrà: se mai qualcun de' Numi
Doma sotto il mio braccio i Proci alteri,
Non ti risparmierò, benché mia bàlia,
Quando a morte porrò le tue conserve."
t 491 Ed Euriclea: "Qual detto, o figliuol mio, 630
Fuor del labbro t'uscì! Costante, invittaChiudo qui dentro l'anima e tu 'l sai.
Al par d'alpestre rupe, al par di ferroMia fede è salda. Or odi e 'l ti rammenta:
Se di tua man gli oltracotati Proci, 635
Auspice un Dio, cadranno, allor dirotti,
Qual delle schiave tue qui ti deturpaE qual fida se n' vive ed innocente."
t 500 Ed Ulisse: "Perché vuoi tu indicarle?
Questo all'uopo non fa. Ben per me stesso 640
Osservarle e conoscerle degg'io;
Star tu bada in silenzio, ed il successo
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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437 |
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