Desìa che mi diparta, irato a' Proci
Che l'aver suo divorano. Ma tu,
Deh! m'odi e questo mio sogno dichiara:
Vénti là nel cortile oche nell'acqua 685
Stemprato, il gran pascevano, non senzaQualche diletto io le osservava; ed ecco
Slanciàtasi dal monte, aquila grande,
Dal rostro adunco, la cervice a tutteFrange e le spegne; nel cortile in folla 690
Giacean sparsi gli augei; l'aquila intantoBattea per lo divino etere i vanni.
Io benché in sogno, piangeva, ululava;
E le Achee dal bel crin stavan d'attornoA me, che pur mettea miseri lai, 695
Per l'oche mie che l'aquila m'ancise.
Ma quella tosto rivolò, si assiseSopra il tetto sporgente ed assumendo
Umana voce, articolò tai note:
t 546 "Fa' cor, o figlia del possente Icàrio; 700
Questo, non vano fantasma di sogno,
Ma certa è vision di ciò che fia:
Nell'oche i Proci; in me ch'era pur dianziAquila, or tu ravvisa il tuo consorte
Che alfin qui giunto, dispietata e turpe 705
A' Proci tutti avventerà la morte."
t 551 Posto fine a' suoi detti, il dolce sonnoM'abbandonò. Qua e là per lo cortile
Vòlto lo sguardo, bezzicar vegg'ioL'oche il grano nel truogolo, qual prima." 710
t 554 Ed il sagace eroe: "Non vuòlsi, o donna,
Interpretar diversamente il sogno,
Poiché 'l medesmo Ulisse ti chiarìoCome s'adempirà. Certo l'eccidio
Appar de' Proci tutti quanti; alcuno 715
Cansar la morte non potrà, né 'l Fato."
t 559 E l'Icàride saggia: "Ospite, i sogniScuri e fallaci son, né già l'evento
All'impromessa lor sempre risponde.
A' levi sogni schiùdonsi due porte: 720
Una è di corno, eburna l'altra: i vani
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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437 |
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