Perocché niun cred'io che dal palagioDel Laerzìade Ulisse osi rapirle.
Orsù, porga il coppier le tazze in giro, 325
E libato agli Eterni, abbandoniamoGli archi ricurvi. Al sorgere dell'alba,
Ingiungete a Melànzio che n'adducaDa tutti i greggi suoi vittime elette;
Offerti i lombi al nume arcier, quest'arco 330
Tèntisi e tratto a fin venga il certame."
f 269 Quel detto piacque. Subito gli araldiL'acqua diêro alle man, di vin le coppe
Coronâro i donzelli, e 'l ministrâro,
Con lieti augùri, a' pretendenti in giro. 335
Come libâro e tutti a lor talentoBebbero, Ulisse, rivolgendo in mente
Gli usati accorgimenti, a dir si prese:
f 275 "Date udienza a ciò che 'l cor mi spira,
Prenci che ambite l'inclita regina; 340
Eurìmaco fra tutti e 'l deiformeAntìnoo priego, che proferse questa
Saggia sentenza: posto giuso l'arco,
Commettete l'impresa agl'immortali.
A chi gli aggrada più, domani un Nume 345
Forza maggiore infonderà. Su via,
A me il grand'arco; ché al cospetto vostroFar vo' di queste mani esperimento:
Vedrò così, se in me 'l vigore anticoNelle membra flessibili si serba, 350
O se inopia e l'errar lo mi rapîro."
f 285 Detto, avvampâro di furore i Proci,
Non forse il risplendente arco ei tendesse.
f 287 L'Eupìtide sgridollo: "Ahi! miserandoDegli ospiti! Non cape in Te pur l'ombra 355
Di senno! Dunque non tu se' contento,
Queto a desco seder con sì preclariPrenci, senza patir d'esca difetto?
Non ti basta udir forse il sermon nostro,
Quando niun altro od ospite, o mendico 360
Ode il nostro sermon? Ma già t'offende
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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437 |
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Laerzìade Ulisse Eterni Melànzio Ulisse Nume Proci L'Eupìtide
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