Di lor sorga il più vile e gridi: "Oh! quantoDa meno dell'eroe sono costoro,
Di cui sposar agognano la donna.
Nullo tender potéo lo splendid'arco;
Pure, un errante poverel qui giunto, 405
Agevolmente il tese e con il dardoLe ferree scuri attraversò". Tal voce
Partorirebbe a noi vergogna eterna."
f 330 E la Regina: "Eurìmaco, a niun pattoSperi tra 'l popol mai rendersi illustre 410
Chi la magione disonesta e struggeD'ottimo Sir; perché dunque v'aggrada
Contaminarvi di sì turpi oltraggi?
Quest'ospite di forme alte, e di membraSì ben complesso, e che d'esimio padre 415
Originar si vanta, abbia da voiLo splendidissim'arco e sì vedremo.
Quel ch'or dirò, fia pieno: ov'egli 'l tenda,
Ove tal vanto gli conceda Apollo,
Di tunica e di clamide, superbe 420
Vesti, l'ammanterò; d'acuta lancia,
Terror de' ladri e de' mastin, vo armarlo,
E d'una spada a doppio taglio; inoltreDono vo' fargli di calzari adorni,
Indi l'avvierò dov'ir gli è in grado." 425
f 343 E 'l giovine prudente: "O madre mia!
Quant'all'arco, io qui sono 'l più possenteFra i Dànai tutti; tal che sta in me solo
Il darlo o 'l rifiutarlo, e non già a questiProci, o tengan l'alpestre Ìtaca, o le altre 430
Isole presso all'Èlide feconda,
Altrice di corsier; nullo de' Proci
Farmi forza potrà, quand'anco al tuttoDonar quest'arco all'ospite mi piaccia.
Risali dunque alle tue stanze e intendi 435
Agli usati lavor: la tela e 'l fuso,
Ed alle ancelle impon che affrettin l'opre.
Cura dell'arco avran gli uomini tutti,
Ed io più ch'altri; perocché la sommaDel poter nel palagio è tutta mia.
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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437 |
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Regina Sir Apollo Dànai Proci
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