440
f 354 Stupì la madre, e messe in cor del figlioLe assennate parole, ad alto salse,
Dalle ancelle seguita. Ivi piangeaIl diletto consorte, finché i lumi
D'un dolce sonno le gravò Minerva. 445
f 359 Preso intanto da Eumèo lo splendid'arco,
Portàvalo all'eroe; già i Proci tuttiTumultuavan nel palagio; alcuno
Di que' superbi giovani gridava:
f 362 "Dove il grand'arco vuoi portare, o vile, 450
Forsennato porcaio? Appo i suiniBranchi, lontano da ogni uman soccorso,
Ratto, de' cani diverrai pastura,
Che tu stesso nutristi ove n'arridaApollo e gli altri abitator del Cielo." 455
f 366 Al tumulto, al gridar di sì gran turbaImpaurito Eumèo l'arco depose.
Ma d'altra parte, con terribil gridoTelèmaco minaccia: "Olà, va' innanzi
E porta l'arco; ché bentosto a tutti 460
Obbedir non dovrai, t'affretta o ch'ioTi caccerò, benché garzone, ai campi
Con iscagliati sassi, io, ché di forzaTi soverchio d'assai. Deh! potess'io
Vincer del pari col vigor del braccio 465
I Proci tutti che qui sono! Ratto,
Qualcun ne caccerei con sua vergognaFuor de' miei tetti, perocché non altro
Ch'onte e delitti macchinar qui sanno."
f 376 Accolsero con gran risa que' detti 470
I Proci, cui la grave ira cadéo.
Tosto il pastor traversò l'aula e miseTra le man dell'eroe lo splendid'arco;
Chiamata la nutrice, indi le disse:
f 381 "Telèmaco t'impon, saggia Euriclea, 475
Chiuder della magion le salde porte;
Se qualche ancella o gemito o rumoreLà ne' di lui recinti ode, non esca
Fuor mai; ma cheta a' suoi lavori attenda."
f 386 Né sparse all'aura îr queste voci.
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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437 |
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