Por nella soglia di vecchiezza il piede.
Ma tu non t'adirar, né appormi a colpa,
Se, visto appena, non ti corsi in braccio.
Sempre l'anima mia nel caro petto 260
Inorridìa, non forse con fallaciDetti, qua giunto, un forestier m'illuda,
Ché volgon molti in cor malvage frodi.
Né già, prole di Giove, Èlena Argiva,
Sarèbbesi in amor congiunta mai 265
Con lo stranier, dove temuto avesseChe dell'Èllade i figli bellicosi
L'avrìan di nuovo rimenata in Argo.
A consumar fallo sì turpe, certoUn nume la incitò: ché nella mente 270
Prima non disegnò, di sua folliaIl successo funesto, onde il duol nostro
Originò. Ma poi che or certi segniTu della stanza nuzial mi desti,
Che niun mortal fuor che noi due vedemmo, 275
E poi l'unica Attòride che il padreDiemmi quand'io qua venni e che ognor guarda
Del nostro saldo talamo le porte,
Mi fésti l'alma al tutto persuasaChe dubbia dell'altrui fede ognor m'ebbi." 280
? 231 A questi detti Ulisse intenerito,
Di gemere il desir vie più sentìa.
Piangea stringendo al petto la prudenteCasta sua donna. Come appar la piaggia
Grata a' natanti, cui Nettuno il legno 285
Co' turbini e con vaste onde diruppe;
Pochi, scampati al mare e di rappresaSchiuma coperti, spìngonsi alla riva
Ed esultanti del campato rischioSaglion la terra; così lieta, affisa 290
Penèlope il consorte, né staccargliPotea dal collo mai le nivee braccia.
Certo gli avrebbe ancor trovati in piantoL'Aurora, se non che di Palla in mente
Novo concetto balenò. Contenne 295
Del suo corso nel fin la Notte, e in gremboFermò dell'Ocèan sull'aureo trono
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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437 |
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Giove Argiva Argo Attòride Ulisse Nettuno Aurora Palla Notte Ocèan
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