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      Mettean querele; né alcun lì si videOcchio Argivo di lagrime digiuno,
      Tanto possente del funereo canto 80
      Sonò la dolce melodia ne' cori!
      Per dieci e sette notti ed altrettantiDì, del par ti piagnemmo: uomini e Dèi.
      Nel giorno che seguì, construtto un rogo,
      Ti sgozzammo d'intorno e pingui agnelle, 85
      E buoi di curve corna. Arso tu fostiNelle vesti divine, nel mèl dolce
      E nella copia di odorate essenze.
      Molti, di risplendenti armi ricinti,
      Pedoni e cavalier, fior degli Eroi, 90
      Correan d'intorno all'avvampante rogo;
      Ed un clamor s'alzò che al Ciel salìo.
      Poscia che t'ebbe di Vulcan la fiammaConsunto, Achille, noi sull'alba l'ossa
      Raccogliemmo e di vin puro e d'unguenti 95
      Le irrigammo; ne diè la genitriceUn'urna d'oro che dicea di Bacco
      Dono ed opra del Nume ignipotente.
      Posan entro quest'urna, inclito Achille,
      Le candid'ossa tue, commiste a quelle 100
      Di Pàtroclo; ivi pur, benché in disparte,
      Giaccion quelle d'Antìloco, cui tantoSovra i compagni avesti in pregio, estinto
      Il Menezìade. Quivi all'urna intorno,
      Noi, sacra degli Argivi oste pugnace, 105
      T'edificammo insigne alto sepolcroSopra il vasto Ellesponto, ove più il lido
      Protèndesi, acciò che solcando il mare,
      Cospicuo splenda ancora in lontananzaA chi vive o vivrà ne' dì futuri. 110
      Interrogàti i numi pria, nel mezzoPose del circo a' duci di gran fama
      Premi superbi Tètide. Per certoAll'esequie di molti incliti eroi
      Assistesti, allorché morto alcun rege, 115
      Guerriera gioventù s'avvince al fiancoUn cinto e corre a gareggiar ne' giochi.
      Pur rimarresti attonito, veggendo


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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437

   





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