Il fiero evento della morte nostra 160
Narrar ti vo'. Noi bramavam la donnaSposar d'Ulisse, da gran tempo assente;
Ma senza rifiutar le detestateNozze, né senza a fin trarle pur mai,
Ella il negro ci ordì fato e la morte. 165
Quest'inganno perciò novo in sua menteImmaginò: nel suo palagio ascosa,
Grande oprava sottil dismisurataTela, e subitamente a dir si prese:
Giovani che impalmar me desiate, 170
Poiché Ulisse perì, deh! le mie nozzeDall'affrettar restatevi, sin ch'io
Questo fornisca per l'eroe Laerte
Funebre ammanto (acciò il mio fil non pêra!),
Quando a patir di morte i lunghi sonni 175
A sé 'l trarrà la dispietata Parca;
Perocché delle Achee l'ira pavento,
S'uom che adunò tante ricchezze, privoSin d'un lenzuolo sepolcral se n' giaccia."
Questi detti trovâr fede nell'alma 180
De' Proci generosi. Ordìa di giornoLa gran tela e, di faci allo splendore,
Di notte la stessea. Sino al terz'anno,
Illudendo gli Achei, si tenne ascosa.
Ma quando rimenâr l'Ore il quart'anno, 185
Che i mesi e' molti dì trascorsi fûro,
Noi, fatti accorti da un instrutta ancella,
Penèlope trovammo che stesseaLa sua splendida tela. Allor per forza,
Necessità stringèndola, compìlla. 190
Alfin l'adorno immenso vel mostrònneChe ricamò, che asterse ella e che al pari
Splendea del Sole o di Selene. Ed ecco,
Né so ben donde, un demone funestoDel suo campo al confin rimenò Ulisse, 195
Dove abitava Eumèo. Lì pur sorvenneCon negro pin dall'arenosa Pilo,
Del Laerzìade il figlio; ambo, ordinataDi noi l'orrida strage, si recâro
Nell'inclita Città: giugnéavi Ulisse 200
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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437 |
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