? 315 Detto, negra di duol nube coverseLa fronte al veglio; d'ambe man la polve
Prese e la sparse giù pel crin canuto, 405
Spessi mettendo gemiti e sospiri.
A quella vista, si turbò dall'imoL'alma d'Ulisse, accorrere sentìo
Pungente spirto a gl'irritar le nariMirando il caro padre. Incontinente 410
Slànciasi, infra le braccia lo si stringe,
Baci a baci gli imprime, ed: "Io son - grida -
Quegli, o padre, son io di cui mi chiedi,
Per cui tanto t'affanni. Ecco alfin riedo,
Dopo dieci anni e dieci al suol natìo. 415
Or tu cessa dal pianto e ti rattempraDall'angoscioso duol. Tutto dirotti
Ma 'l tempo incalza. I pretendenti uccisiNe' tetti nostri e sì dei dolorosi
Torti ed oltraggi lor trassi vendetta." 420
? 326 Ratto il veglio gridò: "Se tu se' Ulisse,
Se tu se' 'l figliuol mio che qui giugnesti,
Certo móstrami un segno, ond'io m'acqueti."
Così 'l veglio e l'eroe: "Ve' pria tu stessoLa ferita che un dì sovra il Parnaso, 425
La bianca sanna d'un cinghial m'impresse,
Quando (da te 'nviato e dalla saggiaGenitrice) fui là presso ad Autòlico,
Padre di lei, perch'io que' doni ottenga,
Che in Ìtaca giurando ei mi promise. 430
Dir inoltre ti vo' gli arbori tuttiChe nel culto giardin mi concedesti,
Quand'io fanciullo te n' faceva inchiestaAccompagnando i passi tuoi; tu in quello
Percorrendo tra lor, li numeravi 435
Nomàndoli così: Tredici periE vénti e vénti fichi, e dieci meli;
Tu cinquanta filar di viti carcheD'uva mi desti; là racemi in copia
Di tutte specie, al tempo che di Giove 440
Le stagioni ministre in sulle piante
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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437 |
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Ulisse Ratto Ulisse Parnaso Autòlico Tredici Giove
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