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      Ne nacque che i rivolgimenti del 1831 s'ebbero l'impronta della parzialità e della meschinità; furono dislegati; pochi accorsero all'armi, e mancò l'entusiasmo. Per colmo di ridicolezza, i reggitori di Bologna richiamavano a vita le tradizioni municipali, ed a' soldati modenesi facevano deporre le armi al passo del confine, pretestando che rispettar dovevasi il principio del non intervento.
      Così il pensiero della comune e reciproca difesa tra popoli, aventi a comune e cielo, e lingua, e religione, e fisionomia, e origine, e sangue, e nome, si rimase nei nudi termini dell'astratto.
      Alla indipendenza italiana non pensarono che pochi, e parve che fosse poi causa o delle sêtte, o della fiacchezza universale, che si avesse fatto un passo retrivo.
      Che che ne sia, a eccitare gl'Italiani non erano mancate le speranze, o per meglio dire, le promesse di appoggio dei liberali francesi e dello stesso Luigi Filippo, il quale per conto proprio avea d'uopo di creare ostacoli all'Austria, e di tenerla occupata in Italia. Anche il duca di Modena, non vi era estraneo; e nella cospirazione, che precedette i moti, accennava ad esser fatto re d'Italia. Le promesse dei Francesi e dei principi finirono, come d'ordinario, con tradimento e lutto delle popolazioni.
      La Francia aveva dichiarato dall'alto della tribuna la inviolabilità del principio di non intervento: indi con gesuitiche frasi lo calpestava; e i suoi soldati, dopo la commedia della presa di Ancona, venivano a tutelare gl'interessi del papa, e a fare l'ufficio di sbirri.


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Memorie Politiche
di Felice Orsini
pagine 371

   





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