Tutti però senza astio e invidia davansi la mano, onde atterrare il governo papale, e creare moti che avessero potuto iniziare la guerra della indipendenza nazionale: sentimento che il bastone, le galere, gli assassinî governativi, e gli esigli di 20 anni avevano omai potentemente rafforzato.
Si approssimava intanto l'estate del 1843, e le voci di rivolgimenti nel reame di Napoli, che avevano ad essere seguitati da altri nello Stato Romano, andavano per ogni dove. La gioventù della Università faceva piani sopra piani, e si accordava coi giovani più ardenti della città; ed io stesso ebbi campo di trovarmi vincolato in amicizia con alcuni, che figuravano come capi nei moti che di lì a poco scoppiarono.
Alcuni agenti del partito liberale, tornati da Napoli, riferirono tutto essere ivi in pronto per la rivoluzione; grandi e potenti i preparativi; accesi gli animi; l'esercito, se non tutto, gran parte dalla loro; la riuscita non dubbia.
Le quali novelle, sia detto tra parentesi, non erano altro che un bel parto della immaginazione del conte Livio Zambeccari. Le stesse cose poi si narravano a Napoli e nelle Calabrie intorno alla prontezza di Bologna e delle Romagne. Ciò avveniva nei più impazienti del partito liberale; ché questo si divideva già in caldi e freddi, ossia esaltati e moderati.
I secondi avevano pure inviati i loro agenti; ma le nuove, che apportavano, erano contrarie alle prime, e, a dir vero, più conformi allo stato reale delle cose. Ma che che ne fosse, i primi vollero tentare; e prendendo sempre le mosse dal falso giudizio, che gli Italiani fossero pronti a levarsi come un sol uomo al primo cenno, stimarono che un pugno di giovani potesse dare l'impulso a tutta la nazione.
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