Di giorno come di notte, di due in due ore, si aveva visita carceraria.
Si venne sul parlare degl'interrogatorî, e ne ebbi le più minute istruzioni dai compagni, già fatti esperti in simili materie.
Il secondo giorno seppi dai muri, che il mio amico Eusebio Barbetti era in quelle stesse carceri, e potemmo metterci in comunicazione.
Il terzo giorno, sul far di sera, fui improvvisamente condotto nelle camere del custode: chiuso in una di esse, m'ebbi a fronte due persone del tutto nuove per me. La debole luce di una candela rischiarava appena la oscurità che v'era tutto all'intorno; l'apparato aveva qualche cosa di tristo e di lugubre. Una di esse stava scrivendo, e abbassava molto il capo, come chi non ci vede molto; l'altra mi guardava in volto e giacevasi a guisa di essere immobile. Questi era Attilio Fontana, giudice processante della Commissione militare; l'altra il segretario. Aveva faccia pallida e magra, occhi neri, incavati e scrutatori.
Fissatomi un istante, mi invitò freddamente a sedere al cospetto di lui: ciò feci, e per quanta forza mi avessi, dava segni di non dubbio timor panico.
Descritti i connotati, incominciò in questi termini:
Sapete voi per qual motivo siete stato arrestato?
No, signore.
Avete udito parlare de' movimenti della state scorsa?
Sì, signore.
Vi avete dato mano?
No.
Conoscete il marchese Pietramellara, il conte Zambeccari, Biancoli, Lovatelli, Turri, Muratori?
No, signore.
Conoscete Eusebio Barbetti?
Sì, signore.
Qual relazione vi lega a lui?
Superficiale.
Voi negate tutto
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