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      Di questa maniera trascorsero quindici giorni e più; allora ebbi un nuovo interrogatorio dal giudice Piselli, e tranne di nuovi incidenti di poca importanza tanto dal canto suo che dal mio, fu conforme a quello di Bologna.
      Dopo non molto il custode Corvini mi pose in compagnia di Enrico Serpieri e di certo Borzatti, riminesi, e di mio padre; questi, alquanto sparuto, usciva di fresca e grave malattia.
      Il mattino dopo, incatenati a due a due, fummo condotti nelle carceri di Urbino. Stemmo ivi da sei giorni; dopo di che posti a cavallo e bene incatenati ci avviammo verso la fortezza di San Leo: ventiquattro soldati formavano la scorta. Era il principio di giugno, e il sole scottava soprammodo.
      A Macerata Feltria riuscimmo ad avere comunicazione con Renzi di Rimini, amico di Serpieri. Egli e un quaranta de' suoi compagni erano pronti a liberarci nel tragitto, che dovevamo fare per giugnere a San Leo, loro mente essendo di assaltare la scorta, quando si attraversavano de' monti ricoperti da folti boschi.
      Serpieri, col quale il Renzi s'intertenne, rifiutò la proposta, dicendo che nell'improvviso assalto le persone di due padri di famiglia (il mio ed il Borzatti) correvano pericolo; mentre che, per avere nulla fatto contro il governo papale, sarebbero stati in breve posti in libertà. Se il Serpieri fu mosso al rifiuto da tale pensiero, come ho per fermo, non vi sono certo parole bastevoli di encomio.
      Egli fu sempre un ardente patriota, in grande estimazione appo i Romagnoli, e lo si ebbe per uno de' capi di molta influenza, attività e coraggio.


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Memorie Politiche
di Felice Orsini
pagine 371

   





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